Devo tutta la mia passione per il campeggio a mio papà : ABO.
Da dove nascono le origini di Cristiano come campeggiatore? Dobbiamo andare indietro nel tempo, l’estate del 1974/75 a quando nudo con il cappellino e un saldalo, salutavo gironzolando nei vialetti del campeggio Conca d’Oro di Misano Adriatico. Mio papà non faceva tempo a montare la tenda a casetta Bertoni di colore Blu (era già un segno il Blu!) che io arrivavo: “ABO, lui è mio amico e mangia con noi“. E’ così che io sono cresciuto, con quell’altruismo, quella facilità di fidarmi del prossimo che solo l’ambiente del campeggio mi trasmetteva. Ero al sicuro tra le verande di tende, camper o caravan di nuovi amici. E ABO era sempre lì, presente a spiegarmi come creare il canaletto intorno alla tenda per evitare che l’acqua stagnasse sotto il catino (è il fondo della tenda). Lui era li a sistemare perfettamente il baule della Fiat 131 famigliare: a volte penso che Tetris sia stato inventato da ABO. Quel vano bagagli era per me enorme, livellato da creare il letto dove inziare a dormire a Torino per poi svegliarmi a Firenze e riprendere il sonno sino a Fiuggi.E sempre ABO a spiegarmi qualche anno dopo come agganciare la caravan, lo spoiler sul tetto per ridurre i consumi e rendere più aerodinamico il CX: chicco sistema i pesi sempre in basso, in alto solo cose leggere e mai cose pesanti all’estremità della caravan. “Non salire con le scarpe, che poi lo sporco te lo porti nel letto” faceva eco dalla veranda mamma, mentre ABO mi guardava incrociando gli occhi e dicendo “che stress, la mamma cattiva“. Crescevo senza accorgermi di diventare quello che oggi sono a 50 anni: l’uomo camping. Ma da dove ha origine ABO e non Babbo? Dalla mia pigrizia, si avete capito “pigrizia” nel parlare. Piuttosto che dire papà, babbo, sintetizzavo con ABO e credetemi che la volta che pizzicai il dito nella portiera della Fiat 131, la parola Abo divenne un meme degli anni 70: aboaboaboaboaboabo senza aggiungere altro. E poi, arriva l’adolescenza e il primo camper mansardato, il secondo compatto e poi il Van. Già ragazzi, non i Van di oggi che sono pieni di comfort e iperfigosi, ABO aveva preannunciato i tempi nel 1989: voleva un furgone semi camperizzato che per 1 mese all’anno fosse comodo per le vacanze, ma che per 11 mesi restasse un monovolume comodo per lavoro e per la famiglia. Acquistò così il Volkswagen Multivan: un letto matrimoniale che si otteneva dal ribaltamento dei sedile posteriore, un tavolino a scomparsa, un frigo con due bulloni e un secondo letto sul soffietto del tetto. Per me fu un colpo: non avevo, la cucina, il bagno, il riscaldamento, le cassapanche, i rubinetti dell’acqua. Nulla di nulla, nè caravan nè camper, ma un coso dove dormire sul tetto in un letto a soffietto. E invece fu quello che oggi è l’essenza del camper: il VAN. Come tutti i figli che raggiungono la maggiore età, a 18 anni faccio la prima vacanza con la Fiat 500 e la tenda, poi la tenda viene messa sul portapacchi della bicicletta, nel bagagliaio della Panda, nel maxi zaino sulle mie spalle. Passano gli anni e ABO è presente anche senza essere fisicamente accanto a me. Ogni volta che pianto un picchetto, tendo la corda della veranda, o vedo un po’ di disordine in garage lui è con me. Lo è sempre stato anche quando sapevo che non condivideva le mie scelte di vita, lavorative o di vacanza. Anche se non c’era, sapevo che bastava entrare in laboratorio in pasticceria o a casa e lo trovavo a trafficare. Ora, da tre mesi, non c’è più fisicamente, non ci sono più gli occhi storti se mamma ci dice “non fate tardi in garage”, le lunghe chiacchierate, i contrasti sul perchè non avessi voluto proseguire la sua professione, neppure le risate prendendo in giro “la nonna sorda”. Eppure ogni volta che entro in campeggio e guardo in piazzola, lo vedo nei gesti di chi monta una veranda, pianta un picchetto, carica la bici sul portabici o attacca la corrente elettrica e dentro di me c’è un urlo che gli altri non sentono, ma io si, forte e chiaro: aboaboaboabo